Segnaliamo la recente pronuncia n. 15528/23 del Tribunale di Milano, Sezione Terza Penale, con la quale il Tribunale meneghino è tornato ad esprimersi in merito alla rilevanza della crisi di liquidità per il reato p. e p. dall’art. 10 ter D.lvo 74/2000, assolvendo l’imputato dal delitto di omesso versamento I.V.A. perché il fatto non costituisce reato.
Come noto, vi è da lungo tempo un dibattito politico e giurisprudenziale circa l’opportunità di escludere la responsabilità penale per le ipotesi di omessi versamenti di tributi che siano diretta conseguenza della crisi di liquidità.
Negli anni si sono succedute diverse proposte di legge con intento “scriminante” (es. proposta di legge n. 3024 del 16.4.21 della Camera dei Deputati) e, da ultimo, la legge 9 agosto 2023 n. 111 “delega al Governo per la riforma fiscale”, pubblicata in Gazzetta Ufficiale serie Generale n. 189 del 14.8.23, all’art. 20, comma 1, lett. b), n. 1, ha previsto un apposito principio di delega secondo il quale, per le sanzioni penali, il legislatore delegato dovrà “attribuire specifico rilievo all’ipotesi di sopravvenuta impossibilità di far fronte al pagamento del tributo, non dipendente da fatti imputabili al soggetto stesso”.
Sul fronte giurisprudenziale, due sono i principali orientamenti che negli ultimi anni si sono contrapposti al consolidato indirizzo della Suprema Corte, secondo il quale la crisi di liquidità era da considerarsi sempre irrilevante ai fini dell’esclusione della responsabilità penale.
Secondo un primo orientamento la crisi di liquidità dovrebbe essere ricondotta all’interno della scriminante della forza maggiore ex art. 45 c.p.. Tale norma troverebbe, tuttavia, applicazione solo in quelle ipotesi in cui la condotta omessa risulti oggettivamente inesigibile e derivi da fatti non imputabili all’imputato, il quale non ha potuto porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà (Cfr. Cass Pen Sez III n. 22179/22).
Per il secondo orientamento, la crisi di liquidità andrebbe invece ricondotta all’inesigibilità soggettiva della condotta lecita. L’omesso versamento degli oneri tributari verrebbe imposto al soggetto agente dalle circostanze contingenti ed eccezionali che si trova ad affrontare, per cui, non si tratterebbe di assenza di dolo ma di inesigibilità soggettiva di una condotta diversa (Cfr. Trib. Milano n. 13701/15 e Cass. Pen., Sez. III, n. 31352 del 5.5.21).
Ed è a questo secondo filone giurisprudenziale che ha aderito il Tribunale di Milano con la pronuncia in esame.
La vicenda decisa dal Tribunale: una società, operante nella pubblicità e marketing, aveva affrontato un periodo di crisi dovuto, a sua volta, alla crisi del settore nel quale operava. Ciò aveva comportato il mancato incasso di fatture da parte dei maggiori clienti della società ed una forte crisi di liquidità che aveva portato l’imputato a privilegiare il pagamento dei lavoratori e dei fornitori strategici nell’ottica di una continuità aziendale. L’azienda aveva al contempo avviato una ristrutturazione interna volta a ridurre i costi societari, circostanza che aveva consentito, unitamente alla ripresa del settore, di intraprendere un piano di rateizzazione con l’Agenzia delle Entrate prima dell’avvio del procedimento penale.
Dopo il pagamento di oltre metà del debito tributario, la società si era trovata ad affrontare la pandemia Covid, che aveva paralizzato il settore in cui operava la società dell’imputato.
Nonostante gli sforzi profusi (conferimenti personali anche mediante vendita di beni personali, rinuncia a pregressi finanziamenti soci, azzeramento degli emolumenti di amministratore, chiusura di una sede operativa, riduzione del personale, ricorso agli ammortizzatori sociali, …) la società non era stata in grado di onorare la rateizzazione in essere.
La sentenza assolutoria: il Tribunale ha ritenuto che la condotta dell’imputato non potesse dirsi scusata dalla forza maggiore poiché, “per escludere l’oggettiva esigibilità della condotta, sono necessarie situazioni eccezionali di mancanza assoluta di liquidità per ragioni imprevedibili e non rimproverabili all’imputato […] La crisi di liquidità pare riconducibile certamente a contingenze di mercato che l’imputato ha cercato di affrontare ma rimane comunque legata al rischio di impresa ed alle conseguenti consapevoli scelte dell’imprenditore”.
Per contro, il Giudice ha osservato che “la condotta contestata all’imputato e la scelta di posporre il pagamento del debito tributario fu indotta da diversi elementi che, complessivamente considerati, depongono verso un giudizio di inesigibilità della condotta imposta dalla norma penale”.
Il Tribunale, dopo aver analizzato i due differenti orientamenti in materia, ha concluso stabilendo che “la crisi di liquidità che colpì la società e le documentate ragioni della stessa convergono verso un esito assolutorio fondato non tanto sull’insussistenza del dolo quanto, piuttosto, sull’assenza di colpevolezza dell’imputato, intesa come inesigibilità soggettiva della condotta doverosa omessa, in presenza delle circostanze concrete emerse nella loro oggettività durante l’istruttoria dibattimentale”, confermando il precedente orientamento della Seconda Sezione Penale del medesimo Tribunale (cfr. Sent. n. 6254/21 del 4.6.21).