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Maltrattamenti in famiglia – le singole condotte maltrattanti non devono necessariamente integrare di per sé un illecito e tantomeno illeciti a base violenta, configurandosi il reato in presenza di comportamenti che, valutati complessivamente, siano volti a ledere, con violenza fisica o anche solo psicologica, la dignità e identità della persona offesa, limitandone la sfera di autodeterminazione.

Con la recente pronuncia n. 43765/2024, dep. il 29.11.24, la Cassazione, Sez. VI Penale, è tornata a pronunciarsi sul delitto di maltrattamenti:

  • ravvisando l’abitualità del reato, pur in presenza di tre soli episodi violenti distribuiti nell’arco temporale di quattro anni;
  • evidenziando come le condotte prevaricatrici dell’imputato avessero connotato il menage familiare: non solo aggressioni fisiche, sebbene concentrate in pochi episodi, ma continue violenze di natura psicologica ed economica ai danni della persona offesa;
  • ribadendo che anche le violenze psicologiche ed economiche agite ai danni della persona offesa costituiscono condotte penalmente rilevanti del reato di maltrattamenti.

Nello specifico, durante la convivenza durata quattro anni, oltre alle frequenti minacce ed alle tre aggressioni fisiche, l’imputato aveva imposto alla persona offesa il divieto di aver contatti con la famiglia d’origine, il divieto di uscire di casa, il divieto di leggere libri e preteso rendiconti minuziosi di ogni spesa effettuata dalla donna a favore del nucleo familiare.

Dunque, non una episodicità di fatti lesivi, ma un regime di vita mortificante ed insostenibilmente vessatorio, integrante il delitto di cui all’art. 572 c.p..

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